L’Italia rischia sanzioni dall’Ue per non aver eliminato gli incentivi alle caldaie a combustibili fossili nel 2024

L’Italia rischia sanzioni dall’Ue per non aver eliminato gli incentivi alle caldaie a combustibili fossili nel 2024

Franco Vallesi

Dicembre 10, 2025

Nel bel mezzo di una sfida cruciale per il futuro energetico del Paese, l’Italia si trova a dover affrontare una procedura di infrazione dall’Unione europea. Il motivo è legato al mancato adeguamento delle normative nazionali sui incentivi alle caldaie a combustibili fossili, un aspetto centrale della recente Direttiva Case Green. La mancata eliminazione di questi incentivi entro i termini stabiliti non è solo un problema di conformità legale, ma rappresenta un ostacolo concreto alla diffusione di tecnologie più efficienti e sostenibili. La tensione tra norme europee e pratica nazionale apre uno scenario complesso, con conseguenze sia ambientali che economiche rilevanti.

Il nodo degli incentivi alle caldaie a combustibile fossile

La questione che ha scatenato la procedura d’infrazione riguarda il mancato stop agli incentivi per le caldaie a metano “stand alone”, ovvero quelle che operano in modo indipendente rispetto a sistemi di riscaldamento basati su fonti rinnovabili o maggiormente efficienti. Questa limitazione avrebbe dovuto partire già dal 1° gennaio 2025, ma l’Italia non ha rispettato tale termine, collocandosi nello stesso gruppo di Paesi come Ungheria ed Estonia che hanno posticipato l’eliminazione dei sussidi. La norma europea persegue l’obiettivo di eliminare qualsiasi sostegno pubblico a queste tecnologie che, pur diffondendosi ancora nelle abitazioni, risultano più inquinanti e meno sostenibili.

L’Italia rischia sanzioni dall’Ue per non aver eliminato gli incentivi alle caldaie a combustibili fossili nel 2024
Fiamma in cima a una torre, simbolo di energia fossile e le sfide dell’Italia con gli incentivi Ue. – esseessecostruzioni.it

È importante notare che, pur essendo la scadenza finale per un adeguamento completo fissata al 29 maggio 2026, la direttiva prevede una fase preliminare che impone un primo divieto sugli incentivi già a inizio del 2025. La mancanza di un’azione tempestiva ha portato a una formale contestazione da parte della Commissione europea, culminata con lettere di costituzione in mora indirizzate all’Italia. Questo passaggio formale, più che un semplice adempimento burocratico, ha implicazioni concrete sul piano delle alignazioni politiche ed economiche.

Nel frattempo, il Conto Termico 2.0 risulta ancora operativo, alimentando indirettamente l’installazione di caldaie a gas e creando così un paradosso rispetto alle direttive comunitarie sull’efficienza energetica. Il Conto Termico 3.0, previsto più avanti nel corrente anno, dovrebbe correggere questa discrepanza, tuttavia la mancanza di un quadro chiaro lascia aperto un vuoto normativo che rende incerto l’orientamento di amministrazioni e cittadini. Chi vive in città lo nota ogni giorno: senza regole definite, il cambiamento rallenta e aumentano i rischi di sanzioni per il Paese, oltre che di spreco di risorse fondamentali per la transizione ecologica.

Un freno alla transizione energetica italiana

L’approccio adottato dall’attuale governo nazionale appare, secondo numerosi osservatori, poco allineato con le ambizioni europee in tema di politiche verdi. Nonostante l’urgenza di ridurre le emissioni, permane un sostegno, anche indiretto, alle caldaie tradizionali alimentate a gas. Questo atteggiamento rischia di ostacolare l’evoluzione verso sistemi energetici più sostenibili, col rischio di compromettere gli obiettivi climatici sia nazionali che comunitari.

Il problema si manifesta concretamente nei mesi freddi, quando in molte abitazioni e uffici si utilizzano ancora impianti meno efficienti e più inquinanti. Questo rende evidente la necessità di aggiornare e migliorare la struttura degli incentivi, che attualmente penalizzano la diffusione di tecnologie innovative e più rispettose dell’ambiente. In confronto ad altri Paesi europei che procedono più spediti nell’abbandono dei combustibili fossili, l’Italia rischia di accumulare un ritardo difficile da colmare.

Un’ulteriore complicazione nasce dalla mancanza di chiarezza sugli strumenti di sostegno ancora vigenti: non è semplice definire se le detrazioni fiscali siano l’unica forma di incentivo rimasta o se ci siano altri meccanismi che in qualche modo favoriscono l’installazione di caldaie a gas. Questa ambiguità è interpretata come una scarsa volontà di cambiare modello energetico, un aspetto che dovrà essere affrontato a breve per evitare conseguenze sanzionatorie e danni all’ambiente. Tra le mura domestiche, dove il riscaldamento rappresenta la voce principale del consumo energetico, questi nodi si fanno sentire ogni inverno con maggior evidenza.

Infine, non va trascurato il legame tra queste dinamiche e l’aspetto economico: un rallentamento nella piena applicazione della Direttiva Case Green può tradursi in costi più elevati in bolletta per famiglie e imprese. In un contesto dove la gestione efficiente dell’energia diventa sempre più strategica, il ritardo nell’adeguamento delle normative non è solo un problema ambientale ma anche un fattore che influisce direttamente sulla qualità della vita e sulla competitività del sistema produttivo italiano.

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