Una planimetria allegata a una pratica comunale può trasformarsi, per chi guarda, in prova o anche in promessa tacita. Davanti a un complesso immobiliare in centro storico, gli uffici comunali hanno trovato disegni che riportavano nuove volumetrie non autorizzate: piante, sezioni, viste tridimensionali che mostrano un ampliamento. Da qui è partita l’ordinanza di demolizione e il contenzioso. Al centro della disputa è rimasta la domanda semplice e concreta: può la sola grafica allegata a una pratica consolidare la situazione e sanare un intervento irregolare?
Cosa è successo: il caso e i fatti
Il procedimento nasce da un ordine comunale a demolire ampliamenti ritenuti abusivi realizzati in un immobile classificato in zona A, parzialmente ad uso abitativo e parzialmente turistico-ricettivo. Gli interventi contestati comprendevano due nuovi corpi di fabbrica al piano terra, un vano cucina al secondo piano, alcuni vani accessori al terzo piano e un balcone. Le fotografie aeree e i rilievi comunali hanno mostrato che tali volumi non erano presenti prima del 2011, elemento che ha spinto l’amministrazione a ordinare il ripristino dello stato dei luoghi.

I proprietari hanno impugnato l’ordinanza davanti al TAR Puglia, sostenendo che le pratiche edilizie presentate negli anni, corredate da disegni dello stato di fatto, dimostrassero la legittimità degli interventi. Hanno invocato anche la disciplina dell’articolo 9-bis del D.P.R. 380/2001, che può consolidare lo stato legittimo a partire dall’ultimo intervento regolarmente approvato, e hanno richiamato il principio del legittimo affidamento per il mancato intervento dell’ente nel tempo.
Il Comune ha risposto che i titoli prodotti riguardavano lavori puntuali e non potevano essere estesi a volumetrie nuove, e che la presenza delle opere in planimetria non equivale a una sanatoria. Un dettaglio che molti sottovalutano: nei procedimenti urbanistici la datazione e la coerenza tra titolo e opera sono spesso decisive, lo raccontano i tecnici del settore.
Il nodo della rappresentazione grafica e il ruolo del BIM
Nel contenzioso si è acceso il dibattito su cosa valga davvero una rappresentazione tecnica. I ricorrenti hanno sostenuto che la serie di autorizzazioni e comunicazioni degli ultimi anni, corredate da grafici dello stato dei luoghi, attesterebbero una situazione consolidata. Ma il Comune e poi la giustizia amministrativa hanno sottolineato una distinzione fondamentale: l’assenso vale per il progetto approvato, non per qualsiasi situazione di fatto riportata nei documenti.
Oggi la questione assume un nuovo profilo tecnico: non si parla più solo di piantine 2D ma anche di modellazione BIM, che genera automaticamente piante, prospetti, sezioni e viste 3D. Da un modello emergono render e tavole che possono rappresentare fedelmente lo stato di fatto, ma rappresentare non è autorizzare. Un fenomeno che in molti notano nelle pratiche moderne: il dato digitale aumenta la precisione, ma non sostituisce il titolo abilitativo.
Nel loro ricorso gli appellanti hanno chiesto che la presenza ripetuta di rappresentazioni riportate nel tempo potesse far nascere un provvedimento abilitativo tacito o comunque impedire la demolizione come misura sproporzionata. La giurisprudenza amministrativa è invece orientata a considerare l’efficacia probatoria ancorata ai titoli edilizi, non alla mera apparizione grafica di opere difformi. Un aspetto che sfugge a chi vive la progettazione quotidiana: i documenti grafici possono raccontare una storia, ma non sempre scrivono la legge.
La sentenza del Consiglio di Stato e le conseguenze pratiche
Il Consiglio di Stato ha respinto l’appello e confermato la decisione del TAR. Nel provvedimento si legge che la semplice rappresentazione degli abusi nelle pratiche non è sufficiente a legittimarli: i titoli prodotti riguardavano interventi parziali e puntuali, non l’edificazione delle volumetrie oggetto di demolizione. La corte ha richiamato precedenti interpretazioni e la norma aggiornata sull’art. 9-bis, precisando che lo stato legittimo non può essere esteso alle opere solo perché raffigurate in elaborati presentati per altre finalità.
Il giudice ha altresì affermato che l’amministrazione, nella fase repressiva, non dispone di un potere discrezionale volto a scegliere la sanzione: quando sussiste un abuso, l’ente è chiamato ad agire con gli strumenti previsti, fino all’ordine di demolizione se necessario. La sentenza nega inoltre che il decorso del tempo senza contestazioni produca automaticamente un legittimo affidamento in assenza di prova certa della legittimità della costruzione. Un dettaglio pratico per tecnici e professionisti: conservare titoli e corrispondenze non equivale a sanare una difformità.
Le ricadute sono concrete: gli studi di progettazione devono curare la corrispondenza tra disegno e titolo, i Comuni devono documentare gli atti per non creare incertezze e i privati non possono contare sulla sola presenza delle opere in planimetria per evitare sanzioni. In molte città italiane questo orientamento porta a una verifica più stringente delle pratiche e a una maggiore attenzione ai controlli amministrativi, con effetti diretti sulle pratiche di manutenzione e sulle ristrutturazioni.
